Allo “Speroni” di Busto Arsizio il Lecco ha subito la quinta sconfitta in quindici uscite stagionali. Troppe, lo precisiamo subito. Oggi come oggi i blucelesti sono nel limbo, in sostanziale linea di galleggiamento tra la zona play-out, più sotto di dieci punti, e la vetta difesa dal Renate, in vantaggio di otto lunghezze. A guardarla oggi, quella lecchese è ancora una compagine in cerca d’autore, con un processo di crescita frenato da un alto numero d’infortuni nei ruoli chiave e la capacità d’incappare in errori tecnici che non possono essere digeribili. Le battute d’arresto accusate con Pontedera (1-0), Piacenza (2-4), Pro Sesto (1-0), Pro Patria (2-1) e Renate (2-0) sono state praticamente sempre bagnate da delle défaillances di dimensioni macroscopiche, cui ha fatto seguito l’incapacità di portare a termine la rimonta. Mai, infatti, il Lecco è riuscito a ribaltare una gara e, anzi, solo a Livorno, con un autogol a favore, i blucelesti sono riusciti a fare un punto partendo da una situazione d’inferiorità nel punteggio.
Arrivati in prossimità del giro di boa, distante quattro impegni ufficiali a cavallo tra dicembre e gennaio, è chiaro che la statistica sta assumendo sempre più le fattezze di una carenza strutturale. Sottraendo la débâcle rumorosa accusata con il Piacenza, l’unica a sporcare il miglior rendimento interno del girone con quello della Pro Vercelli, gli altri quattro passi falsi sono decisamente legati tra di loro: quando affrontate, le compagini avversarie si sono dimostrate in grado di abbassare il proprio baricentro e fare densità con sei uomini sulla linea dell’area di rigore, mandando i blucelesti per vie laterali e costringendoli a buttar dentro un numero imprecisato di palloni, nella quasi totalità dei casi rispediti al mittente.
Quando il possesso palla diventa sterile come in questi casi, il Lecco, che in Iocolano l’unico elemento in grado di saltare l’uomo continuità, fa una fatica tremenda a trovare la chiave di volta, fino al momento in cui un errore banale porta a pagare il dazio più salato. Passi per la marchiana svista arbitrale di Busto Arsizio (attenuante si, alibi no), ma il continuo ripetersi di un questo tran tran è inaccettabile per una squadra che può e deve puntare a stare nei piani nobili della classifica vista la rosa a disposizione. «Quando non riesci a vincere, va bene non perdere», ha dichiarato di recente Claudio Ranieri, allenatore della Sampdoria: portandola ai nostri livelli possiamo aggiungere che, in un campionato così livellato come quello di Serie C, un punto in più o in meno può anche cambiare la vita sportiva, soprattutto se conquistato in campo avverso. Si, anche in periodo di porte chiuse riteniamo che il giocare fuori casa non sia paragonabile alla disputa di una gara tra le mura amiche, per quanto questo fattore abbia inevitabilmente ridotto la propria incidenza.
Cambio di modulo e di mentalità
Allo “Speroni”, se non altro, si è visto un finale di gara più arrembante e produttivo. Il passaggio di D’Agostino a un 4-3-1-2 iper offensivo ha permesso al centrocampo, reparto in affanno da varie settimane, di andare molto meno in difficoltà in entrambe le fasi di gioco grazie al buon inserimento di Lora nel ruolo di mezz’ala destra e al lavoro di raccordo fatto da Kaprof, sostegni utili per Bolzoni, nettamente il migliore per continuità, e Marotta, in palese riserva di energie. La Pro Patria è stata così costretta ad abbassarsi ulteriormente già prima del tap-in di Capogna, perché presa tra le sovrapposizioni, fondamentale talvolta messo in disparte, di Giudici a destra e Nannini a sinistra.
Niente di trascendentale, chiariamoci, ma un primo test tutto sommato positivo che, vista la carenza di uomini in difesa, dove sia Malgrati che Merli Sala potrebbero star fuori per un po’ di tempo e va valutata la condizione fisica di Cauz, e di lucidità a centrocampo potrebbe portare a un cambio di sistema vicino al radicale. Non sarà mai la panacea di tutti i mali, chiaramente, ma un tentativo per dare una sferzata a una stagione che rischia di perdersi colpevolmente nei meandri della non continuità. E qui si dove innestare anche un necessario cambio di mentalità, in particolar modo sui terreni di gioco altrui, che porti la squadra a una maturazione completa.